....... LA VOCE DELL'ANTICA PIETRA VINCE IL SILENZIO DEI SECOLI …..

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PRATO - Cenni storici


ARCHEOLOGIA A PRATO - Cenno storico

Un tributo al compianto amico Carlo Paoletti (Istituto di Studi Storici Postali)

 

L'interesse per l'archeologia, cioè per lo studio delle antichità rappresentate soprattutto dai prodotti delle arti e della cultura materiale, si intreccia variamente anche a Prato con l'interesse storico e storiografico, specialmente per quanto riguarda le origini della città. Il nome di questa sembrò fornire nel tardo medioevo una spiegazione sufficiente delle radici: diversi scrittori trecenteschi ipotizzarono che i fondatori così chiamassero la città perché costruita su" un grande e bello Prato", nel senso proprio di spazio erboso pianeggiante (dal latino " paratum ").

Oggi, dallo studio di antichi documenti condotto soprattutto da Renato Piattoli (vedi oltre) sappiamo invece che quel "prato" era uno spazio per così dire specializzato, il "pratum comitis ", il prato del Conte, un'area sorvegliata dal signore feudale; luogo di mercati e di sosta per milizie in transito che si apriva fuori dalle fortificazioni del più antico insediamento romano di Cornius, il longobardo Borgo al Cornio, raccolto intorno all'odierna cattedrale di Santo Stefano.

Lo sviluppo di questa appendice militar-mercantile, prossima all'attuale Castello dell'Imperatore e sede dei Conti Alberti "da Prato", portò ai primi del Mille alla fusione dei due abitati, dando luogo al centro urbano e alla repubblica comunale di Prato.

Le induzioni dei trecentisti andavano un po' strette agli umanisti pratesi del '400: e fra loro è quel singolare personaggio di Giovanni Gherardi, scrittore ed architetto, rivale di Filippo Brunelleschi nella costruzione del "cupolone" fiorentino.

Nella sua raccolta di novelle "Il Paradiso degli Alberti" Gherardi fa narrare ad un suo ben noto concittadino, il matematico ed astrologo Paolo Dagomari detto "dell' Abaco" (beninteso allora già defunto) di come l'origine di Prato fosse antichissima, tanto che lo stesso Zeus - Giove avrebbe qui stabilito la sede del mitico Giudizio di Paride.

Meno fantasiose e certo più aderenti alle realtà storiche del territorio, forse anche fondate su tradizioni locali, le asserzioni di autori cinque-seicenteschi circa l'esistenza in un remoto passato della scomparsa città di Bisenzia o Bizzenzia, distrutta da Silla intorno al 70 avanti Cristo, e che sarebbe stata appunto la Prato originaria.

Di ciò scrisse Padre Serafino Razzi nella sua "Vita di Suor Caterina de' Ricci" (la futura"Santa di Prato") edita nel 1596, una delle prime guide di città apparse in Europa, il cavalier Giovanni Miniati rilanciò Bisenzia. Altrettanto fece nel secolo successivo il poeta pratese Cosimo Cicognini, che in un suo poema cavalleresco così fa parlare il crociato Michele Dagomari (quello che portò a Prato il Sacro Cingolo) presentandosi a Goffredo di Buglione:" per mia patria ho Prato / Bizzenzia già città del gran Nerone / Silla distrutta, barbaro e spietato.... ".

Ancora nel Settecento l'illustre erudito toscano Anton Francesco Gori attribuiva a Prato un monumento (cioè un'iscrizione su pietra) rinvenuta "presso Bisanzio nell'Etruria", desumendo ciò dal nome "del fiume che scorre intorno a Prato, già castello fortissimo e repubblica"

.Ma intanto già nel Cinquecento il medico e scrittore pratese Alessandro Guardini andava ricercando radici latine nei nomi delle località di piano e di monte del territorio di Prato e il cavalier Buonamico Buonamici iniziava a raccogliere antichità (soprattutto monete) nel suo palazzo.

Nel '700 esistevano a Prato almeno tre collezioni di "anticaglie" trovate in città e nel contado: il Museo Buonamiciano messo insieme dal canonico Innocenzio dell'omonima illustre famiglia, il quale vi aveva inserito anche opere d'arte medievale e moderne stampando poi una descrizione della raccolta; l'''antiquarium'' dello studioso Giuseppe Bianchini e quello del conte Giovan Battista Casotti, letterato e storico. Tutte queste collezioni andarono disperse.

Della raccolta casottiana rimasero peraltro in città due urne funerarie etrusche scolpite, provenienti dall'agro pratese e tutt'oggi esposte alla Biblioteca Roncioniana (quindi una delle più antiche esposizioni archeologiche pubbliche della Toscana); è noto poi il bellissimo bronzetto etrusco detto "L'Offerente" che veniva da Pizzidimonte di Prato ed è oggi al British Museum di Londra, mentre non è improbabile (ricerche sono in corso) che marmi antichi del Casotti venissero acquistati per inserirli nella decorazione barocca del palazzo fiorentino Medici - Riccardi (pareti del cortile).

Nell'Ottocento, mentre compivano un determinante salto di qualità gli studi circa la storia medievale e moderna di Prato, si diffondeva invece un marcato scetticismo verso le "antichità" di cui si erano occupati i precedenti eruditi. Cominciava ad insinuarsi l'idea erronea che fin quasi all'epoca longobarda il luogo di Prato e la pianura attigua fossero inabitabili perché lacustri.

Però il noto storico pratese Cesare Guasti (1822-89) collezionò bronzetti arcaici etruschi provenienti (secondo un suo appunto) da Casa Pieri, che poteva essere nel centro di Prato, presso Santa Trinita, od a Pizzidimonte. Sul Poggio Camerella (Calvana di Prato) si scoprirono tombe "a capanna" ritenute liguri ed a Settimello di Calenzano si individuava come etrusco il monumentale cippo ornato da quattro figure leonine scolpite.

Negli anni Trenta del Novecento lo storico Renato Piattoli, pratese di adozione, individuava le prime testimonianze di archivio su Borgo al Cornio (874 avanti il Mille); ma pur essendo un medievalista, Piattoli ebbe l'avventura di occuparsi anche della più remota antichità pratese e per primo segnalò (sull'Archivio Storico Italiano e sul Bollettino dell'Archivio Storico Pratese) l'esistenza nella periferia collinare di Galceti di manufatti preistorici foggiati nel locale diaspro rosso.

La storiografia ufficiale pratese (il citato Bollettino) andò poi occupandosi dello studio di epoche precedenti il Medioevo (l'articolo "Prato Romana" di Arturo Soleni, le ricerche di Mario Lopes Pegna sulla centuriazione romana nella piana di Prato).

AI 1966 risalgono gli importanti ritrovamenti etruschi nel settore meridionale del territorio pratese (Montalbano) nei quali ebbero parte importante "dilettanti" di qualità (il Dr. Giuseppe Borgioli di Comeana, i pratesi Giancarlo Guarducci e compagni). Gli scavi ufficiali e la successiva istituzione del Museo Archeologico di Artimino dovettero molto sul piano scientifico al Dr. Francesco Nicosia, futuro soprintendente ed allora ispettore per Prato della Soprintendenza alle Antichità d'Etruria, e sul piano organizzativo al sindaco di Carmignano, il pratese Guido Lenzi.

Il rinato interesse per lo studio del passato remoto portò all'istituzione (1971) del Gruppo Archeologico Pratese, che sviluppò le indagini relative alla cultura paleolitica e neolitica del diaspro rosso del Monteferrato e condusse ricerche in molte zone, dalla Calvana (castellieri liguri?) a Filettole (villaggio dell'Età del Bronzo) al centralissimo Castello dell'Imperatore (reperti anche etruschi e neolitici).

Il G.A.P. organizzò nel 1974 la mostra "Prospettive dell'Archeologia Pratese" (notevole catalogo) in collaborazione con la Soprintendenza archeologica e l'Azienda di Turismo.

Hanno poi efficacemente proseguito l'opera di volontariato il Gruppo Archeologico Fiorentino di Sesto ed il Gruppo "L'Offerente" di Prato, con importanti ritrovamenti sia sulle colline, sia nell'immediata periferia cittadina Sud-Orientale, dei quali riferiranno in questa sede gli esponenti delle suddette Associazioni. Da parte sua la Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana ha condotto recentemente saggi di scavo nel centro storico, con rinvenimento di reperti etrusco-romani nel sottosuolo di Palazzo Vescovile, in Piazza del Duomo.

Gli obiettivi adesso più importanti sono un probabile villaggio dell'Età del Bronzo sul Monteferrato e l'insediamento etrusco scoperto (1997-99) nella periferia, zona Gonfienti.

E' forse "Bisenzia ritrovata"?

 

-   Da  “ I   40.000 anni di Prato“  ciclo di conferenze realizzato dal Gruppo Archeologico l’Offerente, con la collaborazione di : Andrea Donnini, Marco Giachetti, Carlo Paoletti, Maurizio Forli (Gruppo Hobby & Scienza) e patrocinato  dalla Circoscrizione Prato Nord.

La Fonte Procula

 

C’è una sorgente nei pressi della Villa del Palco, in Calvana, conosciutissima da tutti i Pratesi e particolarmente apprezzata per la qualità delle sue acque; quando ancora non c’erano i fontanelli, era una meta obbligata per chi voleva farsi una scorta della indispensabile bevanda a costo zero, benzina a parte. Per non parlare poi dei camminatori e degli appassionati di trekking che, dopo aver affrontato la salita del Palco, o magari scendendo giù dal poggio, si fermavano e ancora si fermano presso di essa per dissetarsi o per darsi una rinfrescata.

Stiamo parlando, naturalmente, della Fonte Procula, alla cui presenza noi cittadini siamo da sempre abituati dandola quasi per scontata, spesso senza considerare il fatto che anch’essa, come tutte le cose, ha una storia.

 

 

Ed’ è una storia che si intreccia con quella di un personaggio, un Santo, da cui detta fonte prende il nome: San Procolo.

Come vedremo, benchè si tratti di un soggetto realmente vissuto, le vicende che lo legano alla fonte di cui si sta parlando rientrano nella categoria della leggenda, come ben ci spiega Iris Origo, scrittice e storica dei primi del ‘900, nella sua biografia di  Francesco Datini  “IL MERCANTE DI PRATO”:

  • Il primo pezzo di terra venuto in possesso di Francesco era in amena posizione. A poche miglia da Prato, su una collina sovrastante il Bisenzio, esisteva una piccola fonte, ("situata in luogo detto il Palco") che offre un bell'esempio del modo in cui si creano le leggende. Le sue acque dovevano possedere proprietà curative, poiché l'8 giugno del 1308 il Consiglio di Prato acquistò per 683 lire e 15 soldi la terra che la circondava per compensare il proprietario del danno sofferto dai suoi alberi e dai suoi vigneti per la moltitudine di persone che andavano ad baineandum in pullis.3) Ma non erano trascorsi trenta anni che già un tabernacolo veniva costruito e si formava la leggenda del martire Proculo che "attraversando con alcuni compagni il territorio di Prato per sfuggire alla persecuzione degli infedeli, con le sue orazioni fece scaturire dalla terra una fonte viva, che da allora si chiama fontana Procula. E molti infermi, bevendo di quell'acqua, sono risanati." 4)

3) Dall’ Archivio Storico Pratese, “la Fonte Procula” di G. Giani. – (Dopo aver cliccato sul Link, sfoglia le pagine e vai alla n° 6)

 

4) Da un’agiografia di San Proculo esistente nella cattedrale di Prato e citata in una delle 500 lettere del carteggio che Ser Lapo Mazzei (1350-1412) ebbe col Datini, curato e chiosato da Cesare Guasti:

  • Così  era  chiamata  la  fontana  del  Palco.  In  un  Martirologio  che  si conservava  nella  chiesa  cattedrale  di  Prato,  sotto  il  primo  di  giugno, stava  scritto:  Proculus  martyr....  transivit  cum  aliquibus  sociis  per territorium  Prati,  fugiens  impiorum  saevitias,  et  siti  fatigatus  miraculose  orationibus  suis  fontem  vivum  produxisse  de  terra  fertur ,  qui ab  illa  hora  usque  ad  hodiernum  diem  vocatur  fons  ille  et  locus  Fontana  Procula.-  Et  multi  infirmi  ex  illa  aqua  bibentes  a  febri  sanantur. E  l'iscrizione  che  ancora  vi  si  legge,  dice:  Saluberrimum  hunc  fontem  divina  spiratione  repertum,  perchè  la  polla  fu  ritrovata  nel  1308. Vedi  Calendario  Pratese,  anno  V.

Da Lettere di un notaro a un mercante del secolo XIV” di Lapo Mazzei – pag. 130

 

Andando poi al “Calendario Pratese”, come lo stesso Guasti ci suggerisce, leggiamo a pag. 176:

  • S. Procolo.... passando per il nostro contado per il  monte di Filettole, per le sue orazioni vi fece nascere la Fontana Procola, acqua santa e antica, l’anno di N.S.  450, al tempo di p. Leone I e dell’ imperator Massimo. La qual fonte si ritrovò l’anno 1308, come si vede per l’iscrizione delle lettere intagliatevi 1), e con l’arme del nostro Comune. La qual fonte era stata guastata dai medici, siccome era fama per insino a que’ tempi: e molti infermi, per il passato, da molti mali, bevendone sono stati liberati da’ loro mali. ( Dalle antiche scritture del nostro Comune, ritrovate da messer Alessandro Guardini. ) *
  • 1) Vi è sempre ed è questa: SALVBERRIMVM HVNC FONTEM — DIVINA SPIRATIONE REPERTVM— AB AN. SAL. MCCCVIII . — DENVO PRATENSIS CIVlTAS — AD COMMVNE BENEFICIVM — AERE PVBLICO —  INSTAVRARI MANDAVIT — AN. SAL. MDCCLI.

Dal Calendario Pratese, anno V di Cesare Guasti - pag. 176

 

Iscrizione Fonte Procula

 

* (Alessandro di Bartolomeo Guardini è uno studioso pratese vissuto nel 16° sec., dottore di filosofia e medicina, autore di una “Historia di Prato in Toscana”)

 

Questo non è l’unico accenno che il Guasti fa alla Fonte Procula e al Santo che le ha dato il nome; infatti, sempre nello stesso “Calendario Pratese”, a pag. 158 leggiamo:

  • Questi pensieri ho qui  premessi, perchè stando io per dire qualche parola intorno al Convento del Palco, mi pare che giovino a spiegarci le ragioni che fecero prescegliere questo luogo alla di lui fondazione. Il colle in- fatti ove risiede , situato com’ è all’ultime falde della Calvana , dove sporgendo verso ponente è quasi ricongiunta con la pianura, distante neppure un miglio da Prato , abbastanza solingo ed ameno , doveva offrire fino ab antico una dimora non meno atta alla preghiera che bella , nè meno conveniente agli studi che al diletto. Esistono antiche tradizioni, ed antiche memorie che ci fanno conoscere lo stato in cui esso trovavasi prima che i Frati Minori pensassero ad acquistarlo. Vecchi ricordi ci narrano , che s. Procolo passando , in fuggire i suoi persecututori, dai monti di Filettole , vi facesse spicciare una sorgente, che venne poscia dispersa.  Non so qual valore debba darsi a tali asserzioni, ma è certo che nel 1308 ella esisteva col nome di Fontana Procola, e che in quell’ anno il Comune di Prato cominciò ad averne quella cura che tuttora continua.  È probabile che la credenza in quei tempi molto invalsa, che quest’ acqua fosse prodigiosamente ritrovata, e che avesse virtù di risanare gli infermi,  facesse nascere il pensiero d’ innalzare in onore di S. Procolo quell’ oratorio,  che il Casotti asserisce eretto da un certo Tura di messer Corso da Prato circe il 1350 . Pare che questa chiesetta acquistasse presto una certa importanza, ricavandosi da una lettera testimoniale rilasciata da s. Andrea Corsini al sacerdote Antonio di Michele da Prato…..

Dal Calendario Pratese”, anno V - pag. 158

 

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LA QUESTIONE DI SAN PROCOLO (O PROCULO)


Come abbiamo visto, sia Iris Origo che Cesare Guasti (Non so qual valore debba darsi a tali asserzioni ....) considerano leggenda la narrazione secondo cui ci sia questo personaggio all’origine della Fonte Procula, tuttavia ci sono testimonianze certe, esterne a questa vicenda, che attestano come un santo con quel nome sia  esistito davvero, in quel contesto storico.

 

Da Wikipedia apprendiamo che:

  • Procolo (... – Bologna, 304 circa) fu un soldato romano martirizzato a Bologna durante la persecuzione dei cristiani sotto Diocleziano, venerato come santo dalla Chiesa cattolica .........  Procolo sarebbe stato un soldato e un instancabile diffusore del Cristianesimo presso ariani e pagani nella città di Bologna ……. dove fu poi eretta una chiesa in suo onore.”

 

Renzo Zagnoni, storico contemporaneo, in un suo studio  “I RAPPORTI FRA PISTOIA E BOLOGNA NEL MEDIOEVO: IL CULTO DEL MARTIRE BOLOGNESE PROCOLO A PISTOIA” ci rende noto che:

  • “Le più antiche attestazioni relative a Procolo risalgono a Vittricio di Rouen che nel De laude sanctorum del 396 ne parla in questo modo: curat Bononiae Proculus, Agricola et heic quoque horum cernimus maiestatem. (Proculo e Agricola curano a Bologna, e anche qui ne osserviamo la maestosità).  Ancora Paolino di Nola del 403 in un Carmen ricorda i martiri bolognesi: Vitalem, Agricolam Proculumque Bononia condit / quos iurata fides pietatis in arma vocavit / parque salutiferis textis victoria palmis / corpora transfixos trabalibus inclita clavis. (Bologna custodisce Vitale, Agricola e Procolo/ coloro che la fede promessa con giuramento all’amor di Dio chiamò alle armi/la  vittoria coprì con pari palme salvifiche/gli illustri corpi trafitti con chiodi grossi come trave).”

Comunque sia, una cosa è certa: l’esistenza già a partire dall’Alto Medio Evo di un culto ben affermato rivolto a questo San Procolo, circoscritto ad una ben precisa area: le zone di confine tra Emilia e Toscana.

Prova ne sono diversi edifici religiosi intitolati al Santo in questo territorio:

Nel Bolognese un monastero la cui attestazione è dell’anno 1075, e la chiesa della pieve di Sùccida (anno 1057, odierna località Borgo Capanne)

La Cattedrale di Pistoia, in un periodo che va dall’anno 944 al 1020, risulta cointitolata a San Procolo, addirittura in essa nel 1151 fu consacrato un altare dedicato al Santo, presso il quale sono documentate reliquie.

Anche a Firenze, a cominciare dalla seconda metà del secolo XI, esistette una chiesa dedicata a San Procolo, che è citata per la prima volta il 15 gennaio 1065 nelle carte della Badia fiorentina.

 

S.Procolo di Michelangelo (da Wikipedia)

 

 

 

Un ringraziamento particolare alla classe 5A della scuola G. PUCCINI e agli insegnanti LAURA GORLA, FABIO PECORARO e QUIRINO BALLETTA per la loro ricerca “LA FONTE PROCULA” che ha dato spunto, anche con l'utilizzo di alcune fonti da loro citate, al presente articolo su questo sito.

Il “tesoro” archeologico che racconta la storia plurimillenaria di Prato

Il popolamento del Territorio pratese dalla Preistoria all' età romana

 

È certamente un' impresa tutt'altro che agevole, sicuramente ambiziosa e fors'anche prematura, quella di ricostruire e ricomporre in un quadro organico la serie di notizie e la moltitudine di dati, per lo più inediti, di cui si dispone per la Provincia di Prato, l'ultima nata in Toscana. Ad eccezione dell'Artiminese, l'intero territorio aveva infatti avuto fino a qualche anno fa una scarsa rilevanza nella letteratura archeologica, essendo ricordato in opere ottocentesche di carattere naturalistico-antiquario e in ricerche di appassionati o cultori di storia locale - per lo più notizie in scritti di scarsa diffusione e di difficile reperimento - ed essendovi mancata una serie di ricerche e ricognizioni topografiche svolte con continuità dagli organi preposti, finalizzate ad una lettura certa, del suo sviluppo diacronico.

Durante la felice stagione rappresentata dalla metà degli anni Settanta e dai primi anni Ottanta, maggiore fortuna ha avuto la preistoria che è stata oggetto di studio da parte dell'Università di Siena, quando il territorio era ancora compreso nella Provincia di Firenze, con contributi che hanno interessato, con alcune eccezioni, materiali raccolti da associazioni di volontariato o da singoli ricercatori.

Questa breve nota rappresenta solo un'anticipazione del laborioso lavoro di ricerca e di sistematizzazione dei dati avviato a Maggio del 2003, e tuttora in corso, che ha come obiettivo ultimo la redazione della Carta archeologica del territorio pratese compreso entro i limiti amministrativi provinciali 1) .

Al momento è impossibile esaurire tutte le problematiche legate al popolamento dell'area dalla preistoria all'età romana e verrà quindi presentata una campionatura delle evidenze più significative.

 

 

I - La preistoria

Per quanto attiene il lungo arco temporale compreso fra il Paleolitico e l'età del Bronzo
disponiamo di una moltitudine di segnalazioni che seppure frammentarie e non ugualmente rappresentate nei diversi ambiti territoriali della provincia 2), consentono di affermare che il territorio pratese è stato frequentato senza soluzione di continuità dal Paleolitico inferiore fino alla fine dell'età del Bronzo 3).

Le testimonianze relative al Paleolitico inferiore consistono in scarse industrie rinvenute sui rilievi collinari di Comeana 4), cui si riferiscono due bifacciali acheuleani (Fig. 1) di cui uno in diaspro rosso a profilo lanceolato e sezione piana, l'altro in selce, rinvenuti unitamente a raschiatoi, denticolati, nuclei e da sporadici ritrovamenti effettuati sempre nel territorio di Artimino su un terrazzo dell'Ombrone adiacente a via di Poggiorsoli, a Vainella e nella valle del torrente Bardena, dato, quest'ultimo,ancora da verificare.

Meglio documentata è la situazione per il Paleolitico medio. Alle già note stazioni di Figline e Galceti 5), si sono aggiunti in anni recenti una serie di rinvenimenti che interessano tutta la fascia pedemontana del Monteferrato e della Calvana e i margini della piana su entrambe le rive dell'Arno che attendono ancora di essere valutati nel loro complesso. Ci si riferisce ad esempio ai materiali di S. Ippolito 6) e alle numerose segnalazioni da Prato Rione La Pietà, villa Fiorita, Montemurlo, Villa Campolmi, Vainella, Galcetello, Comeana.

Si tratta di una serie di raccolte di superficie per le quali risultano difficili attribuzioni più precise ad eccezione delle stazioni individuate nel territorio di Comeana, riferite ad un momento finale del Musteriano 7) e di quella di Galceti che presenta un'industria in diaspro rosso i cui affioramenti naturali si trovano in prossimità del sito. L'industria è costituita da denticolati (raschiatoi denticolati carenoidi) schegge a ritocco semplice, erto, marginale, che rappresentano la componente più arcaica, cui sono associati strumenti più evoluti quali troncature, becchi, strumenti a dorso. Il complesso è stato attribuito da Gambassini 8) ad una fase di passaggio dal Musteriano al Paleolitico superiore arcaico; Fornaciari 9) li attribuisce invece ad un Musteriano di tecnica "levallois", ma si tratta probabilmente di due raccolte diverse.

Relativamente all'ultima fase del Pleistocene e alla prima dell'Olocene cioè al Paleolitico superiore / Mesolitico, senza possibilità, al momento,di proporre per la maggioranza delle segnalazioni, più precise scansioni cronologico culturali, sono le numerose testimonianze sempre di superficie rinvenute sulle pendici collinari di Artimino (alla confluenza tra Ombrone ed Elsana, in via di Poggiorsoli a Podere Le Casette) 10) o situate sulle prime propaggini pedemontane sulla riva opposta dell'Arno come Meretto, ubicato su un terrazzo della sponda destra del Bisenzio, ricondotto genericamente al Paleolitico superiore 11).

A conferma di una tipologia insediamentale che predilige i terrazzi e i rilievi collinari nei pressi di corsi d'acqua è la stazione di Poggio alla Malva, uno dei pochi ritrovamenti ascrivibili in Toscana ad una fase iniziale dell' Epigravettiano antico 12). Come del resto l'ubicazione dell'unico insediamento toscano del Gravettiano rinvenuto in Mugello 13).

A quote più alte, i ritrovamenti sono distribuiti lungo tutto il crinale della Calvana fino al Valico di Montepiano (Valico di Montepiano, Cascina di Spedaletto) e sembrano più francamente, in alcuni casi, riconducibili ad un momento inoltrato del Mesolitico se non addirittura ad un primo Neolitico 14). I siti ad alta quota, lasciati liberi dallo scioglimento dei ghiacciai dopo l'ultima glaciazione risultano d'altronde frequentati da gruppi di cacciatori su tutto il crinale dell'Appennino Tosco Emiliano in particolare nella valle del Serchio 15) e nell' Appennino pistoiese 16) e sono stati interpretati come campi base o piccoli bivacchi di cui si conservano strumenti di taglia microlitica utilizzati durante le battute di caccia.

Fin dal Neolitico e in modo più marcato nel periodo successivo Eneolitico, la piana dove poi sorgerà la città di Prato, era sede di insediamenti stabili, fatto questo largamente prevedibile se si ha presente la dovizia di informazioni relative al periodo preistorico che sta emergendo dalla limitrofa piana di Sesto Fiorentino 17).

 

Gli scarsi ma significativi reperti in parte già noti provenienti dalla zona di Villa Fiorita 18) riferibili all'aspetto culturale della ceramica lineare (Fig. 2 n.1), altri rinvenuti nei pressi del Museo Pecci che sembrerebbero indicare l'esistenza dello stile meandrospiralico della fase piena dei vasi a bocca quadrata fra i quali spicca quello di Fig. 2 n.2, ed infine quelli pertinenti ad una fase più tarda del Neolitico da Ponte Petrino (Fig. 2 n.3), attestano nella piana una ben radicata presenza di popolazioni di agricoltori che, in particolare nelle fasi piena e finale del Neolitico,erano già in possesso di tutta quella serie di cognizioni necessarie alla coltivazione dei suoli pesanti di fondovalle.

Per tutto il corso del IV e del III millennio queste comunità continuano ad abitare in pianura come testimoniano i frammenti da Ponte Petrino, e quelli cronologicamente più recenti riferibili al Campaniforme da Villa Campolmi, Galcetello (Fig. 2 n.4 ), Podere Banchieri 19) per citare alcune delle evidenze più significative. Queste popolazioni inoltre conoscevano ed estraevano il rame del Monteferrato e lo fondevano per ricavarne utensili d'uso quotidiano. Ne dà testimonianza il rinvenimento a Ponte Petrino di un crogiuolo sul quale sono in corso analisi metallografiche di prossima pubblicazione 20).

Riconducibile al Neo-Eneolitico risulta poi una consistente quantità di punte di freccia (Fig. 2 n.5 ) realizzate in selce e diaspro che si sono venute ad aggiungere a quella proveniente dal Castello dell'Imperatore 21) e che sono frutto, ad eccezione di una proveniente da Pietramarina, di recuperi occasionali effettuati in massima parte sulla Calvana e sul Monteferrato 22).

In particolare le alture alle spalle della città di Prato rappresentavano, per le popolazioni che vivevano nei villaggi della fertile pianura alluvionale, una riserva di caccia ed un vicino luogo di pascolo per le greggi che vi venivano condotte nei periodi estivi.

Se l'antica età del Bronzo nell'area, escludendo il Campaniforme di cui si è detto sopra, non sembra al momento documentata - come del resto in modo meno marcato rispetto ai periodi precedenti risulta testimoniata nella vicina piana sestese 23) - si dispone di una maggiore quantità di informazioni per i periodi successivi dell'età del Bronzo, dalla media alla finale.

Per la media età del Bronzo le prime notizie risalgono alla metà degli anni '70 - inizi anni '80 e si riferiscono al sito di Filettole posto su un terrazzo in lieve declivio alla periferia di Prato, all'imbocco della Val di Bisenzio, oggetto di un saggio di scavo nel 1974, collocabile in seguito ad una successiva rilettura all'inizio della media età del Bronzo 24).

Rinvenimenti di più difficile inquadramento all'interno del periodo sono da tempo segnalati a Cava Rossa di Figline, attribuiti ad una fase tarda dell'Appenninico, a Galceti riferiti ad una fase iniziale del Bronzo finale, a Podere Murato, più genericamente riconducibile all'età Bronzo 25) mentre   materiali verosimilmente inquadrabili tra l'antica e la media età del Bronzo stanno emergendo sulla Calvana.

A Gonfienti, su un alto morfologico non lontano dalla confluenza del Torrente Marinella con il fiume Bisenzio, sono recentemente state individuate due significative presenze che per la Toscana costituiscono elementi di indubbia novità 26).

Nell'area dello Scalo Merci dell'Interporto della Toscana centrale è venuto in luce un ampio e articolato insediamento della piena media età del Bronzo di circa 4000 mq che è stato possibile indagare in estensione (Figg. 3 e 4). Gli scavi, ultimati nell'autunno del 2007 27), hanno consentito di individuare una quarantina di strutture di dimensioni e forma diverse semplici o multiple, più o meno profonde, con un'unica fase di utilizzo o più momenti di frequentazione anche ravvicinati nel tempo, le cui interrelazioni e funzioni verranno chiarite con il proseguimento degli studi 28).

 

 

 


 

 

 

In area prossima, più vicino al Bisenzio, lungo l'asse stradale Mezzana-Perfetti Ricasoli 29), era collocato un altro abitato - ma forse data la vicinanza con lo Scalo Merci si tratta di un unico grande insediamento che nel tempo si è ampliato - i cui materiali, ancora in corso di studio e restauro, sono stati al momento ricondotti ad una fase antica del Bronzo recente (Fig. 5) anche se non mancano significativi elementi sia della media età del Bronzo che - più sporadici - relativi ad una fase successiva 30). In entrambi i casi si registra una ricchezza ed una varietà di elementi della cultura materiale finora impensabile per la Toscana settentrionale che colmano lacune culturali e cronologiche (la prima fase del Bronzo recente era pressoché sconosciuta come peraltro scarsamente testimoniato era anche l'Appenninico), ma soprattutto risultano inequivocabilmente attestati, a volte in una commistione di elementi, i rapporti con l'ambito medio tirrenico e transappennico (terramare).

 

Per il Bronzo finale disponiamo di un'unica attestazione sul Monte Ferrato, da dove proviene una notevole quantità di reperti (Fig. 6) il cui repertorio, per quanto arricchitosi negli anni, non ha al momento consentito di modificare l'attribuzione cronologica ad una fase finale del periodo, proposta alla metà degli anni '70 31) .

Sulla sommità dell'altura è presente un villaggio fortificato e strutturato secondo un modello insediamentale non infrequente alla fine dell'età del Bronzo anche nella Toscana settentrionale 32), che deve la sua occupazione alla strategicità della posizione, a controllo della piana e dell'ingresso della Valle del Bisenzio, oltre che alle risorse minerarie di cui il complesso orografico è ricco.

Paola Perazzi

 

 

II - Dall'età villanoviana all'età romana


Per l'età villanoviana, il sito più significativo dell'intero territorio della Provincia di Prato è senz'altro quello di Baciacavallo/Paperino-via del Ferro 33), dove i lavori connessi alla realizzazione di un depuratore e della sua profonda rete di collegamento da parte di Consiag hanno portato alla luce un gran numero di frammenti ceramici (Fig. 7), raccolti successivamente nella terra di risulta.

Il sito - nuovamente frequentato fra il VI e V secolo a.C., quindi in età romano-imperiale - ha il suo nucleo più significativo negli innumerevoli frammenti ceramici villanoviani. Fra questi, si segnalano porzioni di anse del tipo a corna tronche e cave, la cui tipologia è presente già nel Bronzo finale, prosegue nella prima età del Ferro (ad esempio a Veio, Tarquinia, Orvieto), trovando la sua massima diffusione in area bolognese ed in Toscana 34), nella zona a nord dell'Arno (Fiesole), con persistenze nel VII secolo, fino a giungere nel VI-V secolo a.c. con esemplari di bucchero e ceramica depurata in area pratese 35); di anse del tipo a maniglia a pseudotortiglione, frequente sui biconici almeno dal Villanoviano antico a quello evoluto e attestato anche nella pianura bolognese 36); frammenti con decorazione a pettinecon motivi angolari e meandriformi 37). Dagli elementi di cui disponiamo, si può ipotizzare una utilizzazione intensa dell'area fra la fine del IX e la prima metà dell'VIII secolo a.c.: la tipologia dei materiali può ricondurre sia ad una presenza insediativa che ad un'area sepolcrale, tenuto conto anche della notevole lunghezza del canale a suo tempo scavato, che può aver sconvolto più di un contesto funzionale.

 

Agli anni compresi fra la fine dell'VIII e l'inizio del VII secolo a.c. è riferibile la grande tomba "a pozzo" del tumulo B di Prato Rosello (Fig.8), ad Artimino, che documenta almeno dal tardo Villanoviano l'esistenza di una comunità viva e culturalmente attiva, oltre che già proiettata verso le aree transappenniniche 38). Si inaugura così la grande stagione artiminese, culminante nelle tombe orientalizzanti della stessa necropoli di Prato Rosello, situata sul versante nord della valle fluviale dell'Arno nel tratto trasversale alla dorsale del Montalbano, e nei tumuli di Boschetti e soprattutto di Montefortini a Comeana , dove la struttura monumentale della tomba più antica - con tamburo e terrazza-altare - ed il ricco corredo documentano da un lato la valenza cultuale-rituale della costruzione funeraria e dall'altro il pieno inserimento del suo proprietario in una rete di importanti rapporti commerciali e culturali, testimoniati dalle note importazioni di oggetti di lusso, quali avori, ambra, vetri, metalli, gusci di uova di struzzo 39).

Seppure lontani dalla completa comprensione dei modi e dei tempi dell'urbanizzazione del territorio artiminese, soprattutto per i periodi più antichi, un contributo significativo può essere offerto dai risultati di una recente campagna di scavo, effettuata in corrispondenza del pianoro di Campo dei Fagiani, ubicato a breve distanza dalla necropoli di Prato Rosello, in un'area dove le indagini geofisiche avevano evidenziato interessanti anomalie. Le operazioni di scavo hanno portato alla luce parte di un'area abitativa, con strutture a secco e massicciate, che accoglie un complesso sistema di raccolta per le acque, con canalette e pozzetti di diversa conformazione. I materiali 40), riferibili a produzioni diffuse nell'agro fiorentino-fiesolano nel corso dell'Orientalizzante recente, documentano per quest'epoca l'esistenza di un'area insediativa poco lontano dalla necropoli e coeva ad alcune fasi di quest'ultima. Il quadro che sembra delinearsi per il periodo orientalizzante e arcaico di Artimino appare pertanto costituito da tracce di insediamenti ubicati in diverse zone del territorio - fra questi anche l'area oggi compresa nel giardino della Villa medicea e della Paggeria, indicata come urbana fin dagli anni Settanta -, come peraltro sono diversamente ubicate le aree di necropoli. A quest'area si è recentemente aggiunta tutta la vasta porzione di oliveto compresa fra la Villa medicea ed il borgo, dove sono casualmente emersi strutture e materiali, che ne attestano l'uso insediativo per tutta l'età etrusca, con una maggiore presenza in periodo ellenistico, a conferma di quanto emerso nel corso della ricognizione negli anni Ottanta del Gruppo Archeologico Carmignanese (Fig. 11) 41). Bisognerà aspettare alcuni secoli per assistere alla realizzazione di una cinta muraria urbana artiminese, che definisca nettamente lo spazio abitativo della città e quindi l'identità politica della collettività 42).

 

Già nota ed utilizzata fin dal VII secolo doveva essere anche la viabilità connessa all'occupazione del colle di Pietramarina 43), sull'estrema propaggine meridionale del Montalbano, ben collegata ad Artimino, alla valle dell'Arno attraverso l'insediamento etrusco di Montereggi, al territorio pistoiese e agli itinerari transappennini diretti verso la Pianura Padana.

Per il periodo arcaico, l'intervento più significativo del territorio è senz'altro costituito dalla fondazione del nuovo centro etrusco di Prato Gonfienti, ubicato all'estremità della pianura pratese compresa fra il fiume Bisenzio, il torrente Marinella ed il piede del rilievo della Calvana con l'altura di Pizzidimonte (da qui provengono sia il bronzetto di offerente del British Museum di Londra, recuperato nel 1735, sia il bronzetto n.29 del Museo di Firenze, recuperato nel 1780) 44), un'area rimasta fedele nel tempo alla propria vocazione agricola, ma recentemente interessata da una intensa trasformazione, connessa alle esigenze di potenziamento infrastrutturale del territorio ed alla realizzazione di grandi opere pubbliche, in particolare l'Interporto della Toscana Centrale, concepito come il più grande scalo-merci regionale 45).

L'area in questione, ubicata alla periferia sud-orientale della città di Prato e adiacente al borgo di Gonfienti (al confine con il Comune di Campi Bisenzio), è collocabile al margine del bacino fluvio-lacustre Firenze-Prato-Pistoia ed è posta ad una quota media di circa cinquanta metri sopra il livello del mare, in corrispondenza di un alto morfologico non particolarmente interessato dalle esondazioni del corso del Bisenzio.

Le ricerche ad oggi effettuate, finalizzate sostanzialmente alla verifica dell'esistenza o meno di depositi archeologici nelle diverse aree, per poterne sancire il destino - utilizzazione nel progetto dell'Interporto oppure procedimento di vincolo -, sono state precedute da indagini geofisiche 46), quindi da verifiche delle anomalie mediante saggi stratigrafici, solo in rari casi da interventi di scavo più vasti, che hanno portato alla luce assi stradali ottogonali e aree abitative drenate da profondi canali perimetrali, che sembrano realizzate in forme modulari e - per quanto ad oggi noto- organizzate secondo le esemplificazioni di Marzabotto e di Roma 47).

Uno di questi edifici (Figg. 12 - 13), in particolare, costituito da una serie di ambienti che si affacciano su un cortile quadrangolare aperto e compluviato, ha restituito lo strato di crollo del tetto, con tegole e coppi, ma anche coppi di colmo, tegole dipinte e tegole converse trapezoidali, oltre a quattro antefisse tardo-arcaiche, con teste plastiche di menadi di pregevole fattura, incorniciate entro un grande nimbo a conchiglia con baccellature radiali, che ipotizziamo collocate in corrispondenza dei quattro angoli del portico, come la posizione di caduta e la connessione con le tegole trapezoidali sembrano indicare 48).

I materiali, rinvenuti all'interno delle aree ove l'indagine è progredita, sono sostanzialmente quelli tipici di un contesto domestico: forme da mensa, da dispensa e da cucina in impasto, tipiche dell'Etruria fra VI e V secolo a.C., affini alla produzione a scisti microclastici o a quella con inclusi bianchi nota nel medio e alto Valdarno; produzioni piuttosto standardizzate di ceramica depurata, che richiamano per gli aspetti tecnici e morfologici i coevi contesti di area etrusco-padana; una notevole quantità di vasellame di bucchero, per lo più riferibile a produzioni locali, come sembra di poter evincere dalle argille, oltre che dalla peculiarità di alcune tipologie (quali i kyathoi con anse a corna tronche e cave, diffusi ancora nel VII secolo nel territorio toscano a nord dell'Arno, a Gonfienti massicciamente attestate in contesti di VI secolo, anche in ceramica depurata) e dalla presenza di forme particolari realizzate sia in bucchero che in impasto, come il grande bacile su alto piede.

La ceramica attica, attestata da alcuni frammenti a figure nere riferibili agli ultimi decenni del VI secolo e da numerosi frammenti a figure rosse e a vernice nera databili entro il V secolo a.C., ha nella coppa a figure rosse attribuita a Douris (vedi imm.) o alla sua scuola il suo esemplare più prestigioso, che suggerisce l'elevato livello economico e sociale della comunità di Gonfienti e ne sottolinea l'inserimento all'interno di una estesa rete di contatti commerciali e culturali.

Alla luce di questi dati possiamo affermare - come è ormai noto - che a Gonfienti sta emergendo un nuovo centro etrusco, esteso ad oggi per circa diciassette ettari, realizzato in forme urbanistiche regolari almeno dalla seconda metà del VI secolo, che trova in Marzabotto la sua specularità e - in un certo senso - la sua giustificazione storica.

Come per Marzabotto, caratterizzato da urbanistica regolare, coerenza architettonica, oltre che da intense attività commerciali e artigianali, così anche per Prato possiamo presupporre una precisa strategia di controllo e di occupazione definitiva di vaste aree, all'interno di un complesso quadro di profonda trasformazione territoriale ed economica, che nella seconda metà del VI secolo investe l'intero Mediterraneo, con nuovi assetti politici e potenziamento di ambiti di influenza economica a nord. Nella fondazione di Gonfienti possiamo riconoscere la volontà di realizzare un nuovo centro in posizione strategica, nello stesso tempo punto di arrivo della viabilità interna che univa Chiusi a Cortona e Arezzo, a Firenze - Sesto Forentino, a Calenzano - Travalle, e punto di partenza dell'attraversamento transappenninico, a salvaguardia degli interessi di Fiesole, ma anche di Artimino, e delle rispettive reti di collegamento.

L'entità degli interventi che investirono questi luoghi emerge anche dall'analisi dell'orientamento astronomico del centro arcaico: infatti, le tracce centuriali pertinenti alla centuriazione di Florentia - identificate nel 1948 da Castagnoli con circa 35 gradi di differenza rispetto all'orientamento della città romana - appaiono piuttosto coerenti rispetto allo schema urbanistico del centro etrusco, avvalorando l'ipotesi di una sistemazione razionale del territorio almeno dall'età arcaica 49), probabilmente anche in relazione alla presenza di un percorso viario già allora fondamentale, forse lo stesso che in età romana condizionerà la razionalizzazione della piana dell'Arno fra Firenze e Pistoia, impostata sull'asse diagonale della Cassia, che collega in linea retta le due città 50),

Recentemente, al fine di identificare l'estensione di questo nuovo centro etrusco anche fuori dei settori di intervento dell'Interporto della Toscana Centrale, in particolare per le aree comprese fra quella già sottoposta a tutela ed il fiume Bisenzio - limite strategico e geografico fondamentale - , è stato impostato un ulteriore progetto di indagini geofisiche su vasta scala, con metodologia GPR, che ha coinvolto vasti terreni nei Comuni di Prato e di Campi Bisenzio.

Mediante la successiva esecuzione di circa 60 saggi di verifica delle anomalie, sono state individuate una serie di precedenti aree di espansione del Bisenzio e soprattutto una ulteriore zona di circa cinque ettari, che appare - per le caratteristiche urbanistiche, cronologiche e funzionali - come la naturale prosecuzione della porzione di insediamento arcaico già noto, che sembra pertanto raggiungere i diciassette ettari.

Mentre si scrive sono inoltre in corso le indagini archeologiche preventive nel sottosuolo di uno degli annessi agricoli della settecentesca Villa Niccolini (a Gonfienti) - al momento interessata da importanti opere di ristrutturazione e sottofondazione -, dove alcune porzioni di strutture perimetrali riferibili ad un altro edificio residenziale di periodo tardo-arcaico confermano l'esistenza dell'insediamento etrusco anche in quest'area.

Per quanto concerne il restante territorio pratese, sempre in area di pianura, poco lontano da Gonfienti, anche la zona oltre la ferrovia ha restituito ceramica di orizzonte arcaico; ai confini fra i Comuni di Prato e Calenzano, in via Bresci, è stato recuperato un bel frammento di kylix a figure rosse; dall'area di Podere Banchieri proviene una fibula inquadrabile fra il VI e il V secolo; dall'area sopra citata di Baciacavallo vengono frammenti ceramici di età arcaica, come a Podere Murato, e - più in alto - a Retaia e a Casa al Piano, senza dimenticare Montemurlo e il suo cippo, oltre al frammento attico recentemente recuperato presso la Rocca 51).

Dalla fine del V secolo, la zona di Gonfienti viene abbandonata, forse anche a seguito di variazioni climatiche piuttosto elevate, caratterizzate da forti piovosità, che potrebbero aver vanificato le opere di bonifica del territorio, come ben esemplificato nell'area del Bientina sempre alla fine del V secolo a.C., e come - in aree più lontane - sembra anche suggerire la recente letteratura sull'insediamento etrusco del Forcello di Bagnolo S.Vito 52).

Da questo momento, le tracce di vita sembrano piuttosto spostarsi nelle zone collinari, come indicano in particolare i frammenti del Palco e di Polendone nel Comune di Prato 53), ma anche di Podere Murato, di Valibona nel Comune di Vaiano, del Chiesino sul Monteferrato.

Alcuni frammenti pertinenti ad una kelebe di produzione volterrana, databile agli inizi del III secolo a.C. 54), insieme a frammenti di ceramica a vernice nera, recuperati nel corso di recenti indagini sotto il Palazzo Vescovile di Prato, in Piazza del Duomo, sembrano attestare in quest'area una presenza non sporadica, probabilmente giustificata dal fatto che siamo sulla conoide del Bisenzio, ad una quota di circa venti metri al di sopra di quello dei livelli etruschi di Baciacavallo e Gonfienti, questi ultimi coperti da stratificazioni di tipo alluvionale.

In questo periodo, anche a causa dei movimenti da nord e dell'incombere dei Romani, riprendono forza anche i luoghi già noti nel territorio, quali Pietramarina e l'altura di Spazzavento nel Carmignanese, dove Artimino si cinge di un circuito murario, coincidente nel breve tratto scavato con il futuro terrazzamento della Villa medicea, e si arricchisce di edifici pubblici all'interno dell'area urbana, come il podio nell'area della Paggeria e l'edificio pubblico a cui sarà pertinente il bel frammento fittile recuperato poco lontano 55), mentre l'alto livello culturale della comunità è suggerito da straordinari corredi quale quello di Grumaggio 56) e dalla presenza di alcune urnette di tipo volterrano che sottintende l'ubicazione di una coeva necropoli 57).

Durante l'età romana si registra una presenza maggiormente diffusa nel territorio: si ritorna ad utilizzare sia le aree di pianura già note, come Baciacavallo, Podere Murato, Podere Banchieri, sia zone di collina e di altura come il Chiesino sul Monteferrato, Valibona nel Comune di Vaiano oltre ad aree più interne della Valle del Bisenzio 58). A questi si aggiungono nuovi siti, quali alcune aree del centro di Prato (vetri, ceramica sigillata e due monete di Diocleziano vengono dagli scavi sotto il Palazzo Vescovile 59) e della sua immediata periferia, via Bresci con un edificio artigianale utilizzato fino alla tarda età imperiale, le Lastre ai piedi di Poggio Alto (Prato) e Bagnolo nel Comune di Montemurlo in pianura, ma anche la sommità di Poggio Alto e Casa Rossa sull'altura della Calvana.

Strategica appare ancora una volta la viabilità, con la Cassia Clodia, che non doveva passare lontano da Gonfienti, dove - nell'area del c.d. Scalo-Merci dell'Interporto - un edificio di età romana e alcune sepolture documentano una importante presenza a partire dal I secolo d.C. ed almeno fino al III 60). In tal senso è utile ricordare che - in un'area forse vicina - sarà da identificare la mansio ad Solaria, ubicata alla nona pietra miliare dal foro di Florentia, come la Tabula Peutingeriana sembra documentare 61).

Gabriella Poggesi

 

Da “Etruschi della Valle dell’ Arno”   di Maria Chiara Bettini  –   MASSO DELLE FATE Edizioni

 

 

 

NOTE

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1 Il progetto per la redazione della Carta archeologica è stato promosso dalla Soprintendenza
per i Beni Archeologici della Toscana in collaborazione con gli Assessorati alla
Cultura e al PTC della Provincia di Prato. Vi partecipano, oltre alle scriventi che coordinano
il lavoro, le Archeologhe Roberta Guidi per gli aspetti relativi alla preistoria e Lucia
Pagnini per quelli relativi all'archeologia classica, Paolo Machetti per gli aspetti topografici,
Simone Bellucci per l'informatizzazione cartografica dei dati, in collaborazione con i tecnici
della Provincia di Prato.
2 I siti citati in questa breve nota sono il frutto in massima parte di recuperi di superficie e
di segnalazioni di ispettori onorari della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana,
di gruppi archeologici, di singoli ricercatori, cui si rivolge un ringraziamento particolare
per la costante opera di sostegno a fianco degli Enti preposti alla tutela e alla ricerca.
Fra questi meritano di essere ricordati: il Gruppo Archeologico Fiorentino, il Gruppo Archeologico
L'Offerente di Prato, il Gruppo Archeologico di Carmignano, il Sig. Bruno Tempestini,
il Sig. Silvio Biagini, il Dott. Leonardo De Marchi.
3 Per un quadro d'insieme del territorio si veda PERAZZI 2005b, pp. 87 sgg.
4 Notizia del rinvenimento si trova in GUERRINI 1989-90; maggiore documentazione in GUIDI
2006 pp. 59-61.
5 Si vedano in proposito GAMBASSINI 1972 e 1975.
6 GUERRINI op. cit.
7 Ci si riferisce ai ritrovamenti della confluenza Ombrone - Elsana, Podere Le Casette e ad
altri manufatti sporadici presenti in giacimenti dove sono attestati anche altri periodi del
Paleolitico, cfr. GUIDI 2006, pp.60-63.
8 GAMBASSINI 1975.
9 FORNACIARI 1966.
10 Cfr. GUIDI 2006, p. 63.
11 Cfr. GAMBASSINI 1972.
12 Cfr. MARTINI 1982.
13 Cfr. ARANGUREN, REVEDIN 2008.
14 Cfr. MARTINI ET ALII 2008.
15 Cfr. TOZZI 2000.
16 Cfr. BACHECHI 2004; GUERRINI, MARTINI 1997.
17 Si vedano SARTI, MARTINI 1993; MARTINI ET ALII 2000.
18 Cfr. SARTI 1991, pag. 20, fig. 3.
19 Vedi supra nota 18, pag. 24, fig. 7, nn. 5,6.
20 Cfr. PALLECCHI, SARTI c.d.s.
21 Pubblicata in occasione della mostra sull'archeologia pratese del 1974 (GAMBASSINI 1974).
22 Cfr. PERAZZI 2005a.
23 Si vedano in proposito MARTINI ET ALII 2000; SARTI, MARTINI 2000 con bibliografia precedente.
24 SARTI 1980-81; SARTI, GUIDI 1999.
25 Cfr. SARTI 1980.
26 Prime notizie sui rinvenimenti si trovano in PERAZZI 2006, PERAZZI, POGGESI c.d.s., PERAZZI,
POGGESI 2006 e in ultimo PERAZZI ET ALII, c.d.s.
27 Gli scavi, finanziati dalla Società Interporto della Toscana Centrale S.P.A, si sono svolti
sotto la Direzione Scientifica del Funzionario di zona Gabriella Poggesi coadiuvata nella direzione
del cantiere da Elisabetta Bocci. L'aspetto preistorico della ricerca, a partire dal
2005, è curato da Paola Perazzi.
L'esecuzione e la documentazione degli scavi del 2007 è stata affidata all'archeologa Lucia
Pagnini che ha coordinato sul campo gli operatori della ditta C.P.F. Costruzioni; la restituzione
dei rilievi è stata effettuata da Tecnostudio 77, la documentazione fotografica da
Bruno Vannucchi. I restauri dei reperti sono curati da Chiara Mauri. Gli aspetti geologici,
palinologici, paleobotanici, antropologici, paleozoologici sono curati rispettivamente da:
Pasquino Pallecchi, Marta Mariotti Lippi, Miria Mori Secci, EIsa Pacciani, Sandra Mainardi,
Ornella Fonzo.
28 Cfr.nota 26 e PERAZZI, PAGNINI 2007, PERAZZI, PAGNINI 2008.
29 Su tutto il tracciato della Mezzana-Perfetti Ricasoli sono stati eseguiti saggi preventivi con
i mezzi meccanici per accertare la presenza o meno di stratigrafie archeologiche. I lavori,
finanziati dal Comune di Campi Bisenzio, si sono svolti sotto la Direzione Scientifica del
Funzionario di zona Gabriella Poggesi coadiuvata nella direzione del cantiere da Elisabetta
Bocci. L'esecuzione e la documentazione degli scavi è stata affidata alla archeologa Cecilia
Martini, che ha coordinato sul campo gli operatori della ditta Berti.
30 PERAZZI 2007a, PERAZZI ET ALII c.d.S.
31 Cfr. SARTI, MARTINI 1975; i materiali sono comunque ancora in corso di studio.
32 PERAZZI 2004.
33 L'area, ubicata in una zona pianeggiante, a circa 40 m. s.l.m., dista meno di tre chilometri
dal Bisenzio e di quattro dall'Ombrone e dai piedi della Calvana.
34 SALVINI 1990, pp. 74-76, fig. 24,5; La pianura bolognese 1994, pp. 200-201 (ampia diffusione
e persistenza in diversi contesti della prima età del Ferro); CATENI, MAGGIANI 1997, p.
48, fig. 2,6.
35 POGGESI ET ALII 2005, p. 282 (bucchero: E.Bocci) e p. 290 (impasto: L.Pagnini); LO SCHIAVO,
BOCCI, PAGNINI, POGGESI c.d.s.
36 HENCKEN 1968, p. 151 fig. 138; La pianura bolognese 1994, p. 180 tav. XIII (Castenaso,
tomba 35); pp. 129-130, tav. V (Ca' dell'Orbo, tomba 77).
37 SALVINI 1996, Firenze, Gambrinus, tomba 4, p. 133.
38 POGGESI 1999; BETTINI, NICOSIA, POGGESI 1997, p. 108 sgg., con bibliografia.
39 BETTINI, NICOSIA, POGGESI 1997; POGGESI 2000 a, p. 21 sgg; NICOSIA 2000, p. 12 sgg., con

bibliografia; sul ricco corredo del Tumulo di Montefortini, cfr. Principi etruschi, pp. 246 sgg.
40 Sono attestati per lo più frammenti di ceramica d'impasto (forme afferenti alla sfera domestica
generalmente diffuse in Etruria dal VII secolo a.c.), di ceramica depurata e di bucchero
(per il bucchero, presente per lo più con forme aperte, si ricorda l'ansa di
kotyle-pisside del tipo c.d. Gorga, diffuso in ambito etrusco-settentrionale interno fra la
fine del VII e gli inizi del VI secolo a.c., noto a Castelnuovo Berardenga-Poggione, Cortona-
Camucia, Vicchio di Mugello-Poggio Colla, Quinto Fiorentino-Palastreto e Artimino-Montefortini),
ma anche strumenti per la filatura e tessitura, oltre a frammenti di laterizi e
ad una porzione di opus craticium. Sui primi risultati dell'indagine al Campo dei Fagiani,
cfr. POGGESI,PAGNINI c.d.s.
41 Artimino 1987; Artimino 2006; POGGESI ,MAGNO 2006, P 84 sgg.
42 BETTINI, NICOSIA, POGGESI 1997, p.104 sgg.: una breve indagine effettuata agli inizi degli
anni Novanta, in corrispondenza della parte posteriore del terrazzamento su cui è collocata
la villa buontalentiana di Artimino, ha messo in evidenza - con il recupero di porzioni di
una struttura a blocchi di grandi dimensioni commessi a secco e collocati direttamente sul
piano di roccia naturale - come il terrazzamento della Villa medicea conservasse l'andamento
della probabile cinta muraria di età ellenistica. Una presenza continua e diffusa di
piccoli gruppi insediativi è peraltro documentata anche nell'area sestese-fiorentina sia in età
villanoviana che in epoca etrusca (DE MARINIS, SALVINI 1999, p. 78), quando si evidenzierà
l'affermazione di Fiesole come centro egemone, che sembra peraltro dotarsi di un circuito
murario posteriormente al IV secolo a.C: cfr. MAGGIANI 2008; BRUNI 2005.
43 L'area di Pietramarina (sui risultati delle indagini archeologiche cfr. il contributo di
M.C. Bettini in questo stesso volume, p. 87 sgg; cfr. inoltre BETTINI 2000, p. 39 sgg.; BETTINI
2008, p. 411 sgg.) sembra connotarsi come probabile limite del comprensorio controllato
dalla comunità artiminese, punto nevralgico per quanto concerne la gestione delle principali
vie di comunicazione del territorio e dei rapporti commerciali che ne derivano, in sintesi
una sorta di presidio di frontiera, in conformità con quanto sembra emergere dall'analisi
di situazioni analoghe, non solo in periodo etrusco (cfr. ZIFFERERO 2002, p.137 sgg.)
44 RICHARDSON 1983, p. 233 n. 1; CRISTOFANI 1985, n. 43; CIAMPOLTRINI 2002, pp.126 sgg.
45 Sui risultati delle indagini archeologiche di Gonfienti, cfr. BOCCI, POGGESI, SIMILI 2000,
pp.58 sgg.; CVA 2004, pp. 45 sgg.; POGGESI ET ALlI 2005, pp. 267-300; PALLECCHI, POGGESI,
MACHETTI c.d.s.; POGGESI 2006, p.80; POGGESI, PALLECCHI, BOCCI, MILLEMACI, PAGNINI 2007, p.
68 sgg.
46 Sono stati prodotti circa cento chilometri di profili georadar.
47 CARAFA 1995, con bibliografia.
48 L. DONATI, in POGGESI ET ALlI 2005, pp. 275 sgg.
49 Anche il territorio dell'adiacente piana sestese è caratterizzato da numerosi canali strutturati,
a riprova di una sistemazione idrogeologica ed agricola della piana riferibile all'epoca
etrusca: DE MARINIS, SALVINI 1999, p.79.
50 POGGESI ET ALlI 2005, pp.272-273. Sul progetto urbanistico di Marzabotto (540 a.c.) - che
evidenzia con la coerenza generale un carattere decisamente unitario e coloniale - e sul
forte collegamento con le coeve esperienze della Magna Grecia e della Sicilia, cfr. LIPPOLIS 2005,
pp. 152-153, con bibliografia.
51 PERAZZI, TEMPESTINI c.d.s.
52 ANDREOTTI 1999, p.19; Forcello 2005, p. 26; POGGESI ET ALlI 2005, p.274 nota 27.
53 LATTANZI LANDI 1988.
54 POGGESI, WENTKOWSKA 2008. Affine al cratere n. 32 del Museo Guarnacci di Volterra (MARTELLI 1987,
p. 331 n.183), che si allinea alla produzione di uno dei ceramografi più tardi delle
botteghe operanti a Volterra, il Pittore della Monaca, autore di numerosi altri crateri nello
stesso ambito: PASQUINUCCI 1968, p. 37 n.V; nn.XLVI-XLVIII, da Monteriggioni; BEAZLEY 1947,
p.128. Tali kelebai, prodotte in officine di Volterra tra gli ultimi decenni del IV ed i primi
del III secolo a.C. e caratterizzate da standardizzazione sia tipologica che decorativa, ven-
gono ritenute per lo più contenitori per le ceneri dei defunti; a sostegno di questa ipotesi,
cfr. MARTELLI 1987, pp. 49-50; CRISTOFANI 1995, p.255; CRISTOFANI 1997, p. 176; per quanto
concerne le kelebai provenienti da contesti non funerari o pertinenti a corredi funebri di
inumati, cfr. BRUNI 1999, p. 33 nota 58.
55 BETTINI, NICOSIA, POGGESI 1997, pp. 99-100, fig. 41.
56 BETTINI, NICOSIA, POGGESI 1997, pp. 90-91.
57 BETTINI, NICOSIA, POGGESI 1997, pp. 71-72.
58 PERAZZI 2005 b.
59 DE TOMMASO 2008.
60 POGGESI ET ALlI 2005, p.275.
61 POGGESI 2000a, p.62; POGGESI ET ALlI 2005, p.274. Lo stesso termine Gonfienti (confluentes)
potrebbe indicare uno snodo stradale strategico.













L' Offerente di Pizzidimonte

 

Non potevamo non dedicare una pagina del  nostro sito al reperto archeologico che forse ha rappresentato nel mondo la nostra città meglio di qualsiasi altro, perlomeno fino ai nostri giorni,  e da cui ha tratto origine il nome della nostra associazione : il famoso bronzetto dell’ “Offerente”  di Pizzidimonte.

L’ originale di questa statuetta purtroppo non è propriamente a portata di mano, in quanto trovasi custodita al British Museum di Londra, ed i Pratesi si devono accontentare di vederla  in foto, o al massimo  riprodotta, formato gigante,  in uno dei  murales che abbelliscono le pareti della  terrazza del Bastione delle Forche,  la cui apertura al pubblico è avvenuta proprio in questi giorni (Maggio 2014), dopo un lungo periodo di restauro.

 

 

 

 

 

 

Questo bellissimo bronzetto, come specificato nell’articolo che segue,  venne alla luce nell’anno 1735 a Pizzidimonte, non molto distante da Gonfienti  (2 km.), e fu descritto minuziosamente da alcuni studiosi dell’ epoca;  in seguito se ne perse le tracce per circa un secolo, e riapparì misteriosamente presso il celeberrimo museo londinese nel  1824.

 

Qui di seguito riportiamo un’ articolo di Michelangelo Zecchini dedicato al nostro “Offerente”, comparso sulla rivista on-line  Prato, Storia e Arte n.109 :

 

 

L’offerente bronzeo di Pizzidimonte

 

"A Pizzidimonte, distante appena due km circa da Gonfienti, fu scoperto il celebre offerente togato di bronzo, alto 17 cm, oggi conservato presso il British Museum di Londra. La statuetta fu rinvenuta, come ha scritto il Gori, «Hoc ipso anno 1735 prope Pratum Etruriae civitatem, in loco, qui vulgo dicitur Pizzirimonte…»15, e poi fu custodita dall’erudito pratese GiuseppeBianchini.

Il personaggio maschile, stante ma con lieve accenno dinamico nel piede sinistro che sopravanza il destro, è fasciato da una lunga toga che sul davanti forma morbide increspature trasversali e sul retro si distende a sinistra in plastiche pieghe ondulate contrastanti con la verticalità mediana dell’orlo.

Il mantello mostra un’accurata sintassi decorativa a incisioni geometrizzanti: all’altezza del torace è presente una fascia costituita da onde irregolari stondate o acuminate con punti centrali, marginate in basso da una teoria ininterrotta di cerchielli; sia di fronte che dietro, sul lato sinistro del corpo, la banda – bordata in alto da una successione di triangoli puntati (quasi sempre al centro, occasionalmente al vertice) e in basso da una sequenza di lineette più o meno parallele – è caratterizzata da una sequenza di rombi (con due punti interni) inframezzata da triangoli (con un solo punto centrale). La toga lascia scoperta la spalla sinistra e le braccia consentendo di apprezzare particolari anatomici (clavicola, braccio, pettorali, muscolatura) che denotano prestanza fisica. I piedi sono fasciati dai tipici calzari a punta, allacciati e provvisti di decori incisi. I caratteri stilistici permettono di proporre una cronologia intorno al 470 a.C.. Posizione e concezione figurativa sembrano trovare un corrispondente molto stretto nel Fufluns di Modena (stesse dimensioni, medesimo piede sinistro incedente, affinità nella disposizione del mantello, similitudine nella fascia con incisioni a denti di lupo a dividere il torace in diagonale) e un prototipo nell’offerente populoniese trovato all’isola d’Elba e datato al 500 circa a.C.16.

È stato osservato come il piccolo capolavoro della Calvana, riferito a una bottega etrusco-settentrionale, sia affine nel volto alla testa Lorenzini di Volterra e porti con sé impronte stilistiche populoniesi17; c’è da chiedersi se, stanti i ritrovamenti antichi e recenti di bronzi di buon livello qualitativo nel comprensorio, l’offerente togato di Pizzidimonte, con il suo sorriso appena accennato ed enigmatico, non sia uscito piuttosto da un’officina locale, magari diretta da un maestro migrato da Populonia insieme con minerali e tecniche metallurgiche."



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15 Cfr., supra, C. Pofferi, Dai principi, op. cit. in nota 1, p. 33.
16 Giglioli G. Q., Un bronzo etrusco arcaico dell’Elba ora al Museo Nazionale di Napoli,
«Studi Etruschi», II, 1928, pp. 49-51; M. Zecchini, Isola d’Elba: le origini, Lucca 2001,
pp. 93-94.
17 Cfr, M. Cristofani, I bronzi degli Etruschi, Novara 1985, pp. 267-268.



Da “La città etrusca di Gonfienti, la kylix di Douris e l’offerente di Pizzidimonte” di  Michelangelo Zecchini

 

 

 

 

 

A sinistra l’offerente bronzeo di Pizzidimonte nel disegno di A.F. Gori, 1737; rielaborazione da C. Pofferi 2005 (g. c.). A destra schema della sintassi decorativa incisa sulla toga, all’altezza del torace (in alto) e sotto le ginocchia (in basso). Disegno: Silvia Zecchini.

 

 

 

Ed infine, qui sotto, L'Offerente di Pizzidimonte nella sua forma reale, come appare oggi ai fortunati visitatori del British Museum di Londra :

 

 

 

 

Aggiornamento al 6 Dicembre 2015

In questa data una nostra rappresentanza, trovandosi a Londra per un breve periodo di vacanze, non ha potuto esimersi dal fare una spedizione al British Museum, naturalmente per rendere il dovuto omaggio alla statuetta che ha dato il nome al nostro gruppo.

Superato un primo momento di comprensibile e incontenibile emozione, superato anche un legittimo impulso di sfondare la teca protettiva per riprendersi il prezioso cimelio e riportarlo nella nostra Prato, sua terra d’origine e contesto più appropriato (stiamo scherzando, ma non troppo), ci siamo sfogati col fare fotografie, della cui qualità non eccelsa, dovuta alla concitazione del momento, ci scusiamo :

 

 


 

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